Luisa Colombo Andreani e il salvataggio di alcuni ebrei a Como è anche storia di “Famiglia”

Oggi, 27 gennaio, Giornata della Memoria, dedicata al ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, noi soci della Famiglia Comasca vogliamo ricordare una storia di luce nel buio di quegli anni drammatici. Una storia che è venuta a conoscenza, possiamo ben dire del mondo, proprio grazie alla nostra associazione.

Tutto inizia nei primi anni 2000. La nostra storica vicepresidente, Rita De Maria, viene invitata da una socia anziana, ad andare a trovarla per consegnarle i libri dell’anno. Lei ha difficoltà ad uscire. Rita, sempre disponibile, va da Luisa e lì, nel salotto della sua casa di Como, in via Mentana, si sente narrare una storia incredibile. Luisa racconta di aver aiutato alcune persone ebree a fuggire da Como tra la fine del 1943 e i primi giorni del 1944. Non solo, dice di essere stata per un certo periodo in contatto con altre donne prigioniere, che, però, non poterono fuggire (non avevano un luogo in cui andare) e morirono poi nei lager tedeschi.

All’epoca di questo racconto io sono direttore editoriale della rivista comasca “Broletto”. Rita De Maria, a sua volta, mi racconta quanto ha saputo. La storia, visto che io oltre che una giornalista sono una storica, mi interessa, non solo, ma potrebbe uscirne un ottimo ed esclusivo articolo per la mia rivista. C’è solo il problema: per me è incredibile, è impossibile. Insomma, non ci credo.

Alla fine, per non far fare una figuraccia a Rita e al compianto presidente Piercesare Bordoli vado a trovare la signora. Nel suo salotto parte il racconto, come un film per sempre fissato negli occhi di Luisa. Non ci posso credere, ma ormai sono presa al laccio. Non posso pubblicare nomi e fatti senza un riscontro. Prendo così un appuntamento al Centro di Documentazione Ebraica di Milano, lì conosco Liliana Picciotto, una studiosa della Shoah di fama mondiale e la più competente in Italia. Io ripeto quello che mi è stato detto: date, nomi, circostanze. Mi ritengo già fortunata ad essere stata ricevuta in breve tempo. Io parlo e più vado avanti più vedo accendersi l’interesse sul volto della studiosa. È tutto vero. Non solo c’è la possibilità di pubblicare un articolo, ma c’è quella di continuare la ricerca, scriverci un libro e chissà arrivare al riconoscimento di “Giusto tra le nazioni”.

Parte l’operazione Luisa. La incontro più volte, le ricerche si svolgono anche grazie all’apporto fondamentale dell’Istituto di Storia contemporanea “Pier Amato Perretta” di Como e soprattutto di Liliana Picciotto. Luisa ritrova documenti che non sapeva più dove erano. Pubblico prima articoli, poi un libro. Conosco molte persone, raccolgo documenti pure io (tanti, inediti) addirittura parlo per un paio di volte con il Memoriale dell’Olocausto in Israele.

Ma cosa ha fatto Luisa?

Dobbiamo andare indietro nel tempo. Siamo nell’inverno (gelido) del 1943; in piena guerra e Repubblica Sociale Italiana, con i tedeschi in casa. Già dal 1938 in Italia erano state promulgate le Leggi razziali. I cittadini italiani ebrei (una piccola minoranza) diventano italiani di serie b. Non hanno più diritti; per esempio, perdono il lavoro o non possono più andare a scuola. Col manifesto di Verona del novembre 1943 la RSI al punto 7 stabilisce che durante la guerra gli ebrei presenti sul territorio italiano sono tutti indistintamente nemici. Vanno arrestati, concentrati e loro beni sequestrati a favore di chi ha subito danni dal conflitto in corso (ovvio causati dagli anglo americani, e le bombe davvero hanno fatto la loro orribile parte). Dopo la promulgazione delle Leggi razziali molti ebrei si sono allontanati dall’Europa. Altri più anziani, magari qualcuno pure fascista, pensano che saranno comunque al sicuro a casa loro. E si sbagliano.

Il 30 novembre 1943 viene emanata una disposizione di polizia che dal 1° dicembre mette in atto quanto previsto dal punto 7. I giornali ne parlano alla grande, molte persone da Milano o dalla Brianza, dove erano sfollate, cercano di scappare in Svizzera. Là se si riesce ad entrarci c’è la salvezza, ma sono, quasi tutti, rimandati indietro. Sono arrestati, i loro beni confiscati. Sono, però, troppi per poter stare tutti nel carcere cittadino, così si trovano luoghi di fortuna. Addirittura in un primo tempo liberano i più vecchi.

Uno di questi carceri provvisori è in una palazzina in zona caserme. Lì abita Luisa Colombo. È nata nel 1920, è una crocerossina. Ha una simpatia per quello che poi diventerà suo marito. I genitori hanno un negozio in zona. La voce della presenza degli ebrei detenuti in cattive condizioni (manca tutto) gira. È il padre di Luisa che le chiede di fare qualcosa, andare a trovarli.

Non immagina cosa farà davvero la figlia e se lo immaginasse, la chiuderebbe in casa a chiave, perché la generosa Luisa sta per mettere a repentaglio la sua vita, per salvare quella di altri, per giunta sconosciuti.

Luisa, in borghese, può entrare nella palazzina perché di guardia ci sono i carabinieri (lei li ricordava commossa). Dentro trova donne e uomini, con ben poco. Luisa conquista la loro fiducia, da offrire ha solo la sua amicizia. Diventa, infatti, amica di alcune detenute le quali, trasferite nel capo di Fossoli di Carpi, avranno modo di scriverle prima di finire “in Germania a bruciare”, come diceva Luisa tanti anni dopo, raccontando quegli incontri, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.

L’amicizia in quell’inferno è un bene prezioso, ma il sommo bene è la libertà.

Luisa conosce l’avvocato Edoardo Orsenigo (di lui c’è un ricordo con foto nel libro della Famiglia Comasca A Como ieri e oggi, 1980). Orsenigo, non sappiamo come, la famiglia non ha idea, può favorire espatri clandestini. Dalle mie indagini credo con l’aiuto di contrabbandieri. Orsenigo ha un piano, ma bisogna far uscire i candidati alla fuga dalla palazzina e lì entra in scena Luisa. Senza di lei non si può fare nulla. Nella notte del 28 dicembre 1943, con l’aiuto di una scala, Luisa riesce a far uscire due uomini. Sono Vicktor Altaras commerciante di Spalato e uomo di fede, Mayer Chaim Relles. Con la scala di fortuna, portata da Luisa, i due atterrano sul terrazzino della domestica di Ginevra Bedetti Masciadri, che incontreremo ancora nella nostra storia.

Libertà, però, non è solo evadere, ma avere un luogo sicuro in cui andare. Orsenigo si incarica di portare via Altaras, ma è la giovane Luisa che si trova a dovere provvedere un letto per la notte al secondo uomo. Lo porta a casa di una delle nuore del magistrato Pier Amato Perretta e il giorno dopo lo accompagna a Milano.

Tanta paura, ma è andata bene. Potrebbe, dovrebbe finire lì. Il signor Colombo continua a ripetere alla figlia di non mettersi nei guai. Invece … Ancora “in coppia” con l’avvocato Orsenigo, Luisa favorisce la fuga di altri due prigionieri: Gualtiero Schubert e Fritz Michaelis.

Non è stato facile, Luisa non può più fare nulla, se non rispondere alle poche lettere che le mandano le amiche prigioniere.

Finisce la guerra, Altaras e la moglie cercano Luisa, lei diventa amica di una loro nipote. Viene a sapere che anche gli altri due si sono salvati. Per anni non sa nulla di Michaelis. Alcuni parenti delle detenute morte la cercano per ringraziarla di quanto ha fatto. La vita riprende.

Io, l’incredula diventata testimone della testimone, sono però anche testarda, non lascio nulla di intentato nella ricerca, perché ci sono gli estremi per arrivare al riconoscimento di Giusto tra le nazioni (con tutta una particolare istruttoria documentale rigidissima).

Conosco così Vittorio Rosenberg Colorni. Anche la sua è una storia di salvezza nel gorgo di morte di quel tempo. È un ragazzino, viene arrestato a Menaggio con la madre e il fratellino infante. In prigione conosce Fritz Michaelis. Qui la salvezza arriva ancora grazie ad una donna, impegnata nella Resistenza, Ginevra Bedetti Masciadri, che organizza in modo rocambolesco il salvataggio dei tre che sono mandati al sicuro in Piemonte, ospiti di Guido Moglia, dove Vittorio scopre che Michaelis “se l’è cavata”.

Esce nel 2004 il mio libro Como ultima uscita (Nodo Libri – Istituto “P.A. Perretta”), contiene la dettagliata storia di Luisa, ma anche quella di tutte le persone che conobbe in quei frangenti. Contiene documenti, ma soprattutto storie di vita, in memoria di chi non ce l’ha fatta. Come Aldo Pacifici di Ponte Chiasso.

Nel gennaio del 2005 viene consegnata a Villa Gallia l’onorificenza di Giusto fra le nazioni (chi non ebreo ne ha salvato anche uno, a rischio della sua vita) alla memoria di Ginevra, Ugo e anche di Luisa. Sì, Luisa, perché è morta due settimane prima, ma sapeva di avercela fatta. Va bene l’onorificenza, ma lei voleva soprattutto che i nomi di quelle persone non fossero dimenticati.

Oggi quei nomi brillano grazie al suo. E continuano a farlo.

Nel 2019 i bambini della scuola materna dell’Asilo Sant’Elia, con la Fondazione Gariwo e l’Associazione Jubilantes, hanno studiato (e disegnato la storia di Luisa) e messo un albero in sua memoria nel loro giardino. Le classi coinvolte sono state anche la 5a della scuola primaria Severino Gobbi ed una 3a classe della media Parini che hanno lavorato attivamente e con passione.

L’anno scorso, 2020, a Ponte Chiasso è stata posta una “pietra d’inciampo” davanti alla casa dalla quale uscì per l’ultima volta Aldo Pacifici, “il Signor Pacifici” come lo chiamava la nostra Luisa che spiegava “Gli ho chiesto se voleva fuggire, ma lui ha detto di no. Non poteva esporre a pericoli la moglie e il figlio combattente (la figlia era in Svizzera)”.

La storia di Aldo Pacifici ve la racconteremo un’altra volta, perché merita anch’essa di essere conosciuta. Come ci piacerebbe raccontarvi anche quella di Ginevra Bedetti Masciadri, perché fu anche lei parte della nostra Famiglia, una socia come noi, fino al 1995, anno della sua morte.

Il giorno in cui vengono commemorati i Giusti fra le nazioni è il 6 marzo, ma noi abbiamo voluto ricordare questa storia nel Giorno della Memoria. Una storia che per noi è una parte, davvero importante, di quella della nostra Famiglia.

 

Rosaria Marchesi

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